Pino Boschetti, pittore della natura umana


L’immediatezza. Puoi quasi parlare con la gente ritratta nel quadro – tanto è vicina. Basterebbe fare qualche passo e già potresti mettere a quel tipo una mano sulla spalla e fare quattro chiacchiere con lui.
Pino Boschetti non protesterà: in un baleno abbraccia il quadro con lo sguardo ed ecco che ti ha già dipinto tra le altre figure.
Gli uomini e la città. L’artista è uno straordinario osservatore della gente e della cittadina.
Fra gli uomini e la città esiste un legame. Sono gli esseri umani a plasmare e a riempire la città che a sua volta crea questo tipo di persone.
I quadri ci guidano alla scoperta della città. Attraverso le immagini percorriamo in lungo e in largo la cittadina di Santarcangelo di Romagna.
Nessun pittore meglio e più di lui mi ha aperto gli occhi su questa realtà. Ci mostra la cittadina dal mattino alla sera e fino nel cuore della notte. Ce la rivela in ogni angolo – immersa nella campagna, non lontana dal mare e ai piedi della Rocca di San Marino.
D’altra parte questa cittadina non è soltanto Santarcangelo di Romagna, posso figurarmi così anche molte altre località della Romagna, e le conosco più o meno tutte.
Quasi nessun altro pittore ha lavorato in un vincolo di amicizia così stretto con i luoghi. Dalla piana il colle si erge con il suo profilo ben definito dagli edifici: la Collegiata, il Campanone, la Rocca, le case a due piani. È sempre la città alta a far da scenario in questo teatro.
Quasi mai un pittore è riuscito a cogliere con tanta precisione il mondo della sua città, dei dintorni, dell’ambiente. Non l’ha soltanto disegnata, come fanno tanti, l’ha guardata dal di dentro: fatta com’è di una miriade di personaggi e di scenari – che sembrano collaborare quasi fossero una squadra. Soltanto pochi hanno saputo cogliere tanto profondamente questo rapporto.
Così raffigurata Santarcangelo è come una madre per tutte queste persone dipinte, e sono molte.
Il cantastorie. Pino Boschetti è un meraviglioso narratore di storie. Che dimostrano quanto sia ricca la vita di ogni giorno – e quali drammaturgie essa ci regali. E il pittore ci mostra che anche la scena più modesta si può raccontare come ‘la’ storia.
Davanti alla casa del carbonaio si scaricano i sacchi mentre la mamma e la nonna se ne stanno sedute lì accanto con il più piccolino – non si potrebbe raccontare meglio questa quotidianità, vera e propria storia illustrata!
Un esempio: Quando partono i treni? Non è soltanto un’informazione sul tabellone degli orari alla stazione, perché lì vengono tante persone nella cui vita il treno svolge un ruolo assai diverso – e il pittore ce lo lascia intendere. Potremmo legare ciascuno a una storia particolare. E così il quadro diventa nella mente come un film – una raccolta di storie. Non dobbiamo dimenticare che i film di Fellini erano la raffigurazione di personaggi che in fondo, già con il loro aspetto, raccontavano una storia.
Nella produzione di Pino Boschetti ci sono quadri che contengono un’unica storia e quadri che racchiudono moltissime storie. Lo sguardo che percorre il quadro passa da una storia all’altra – come nei film. È così che lavora anche la nostra mente – durante il giorno e ancora di più durante la notte, nei sogni.
Il quadro più ricco di storie – un vero record è quello (1982) che immagina una delle tante belle sere d’estate. Sere così le conosciamo tutti. Il pittore non si limita a descriverle, bensì mette insieme tutte le fantasie della gente, ci aggiunge le proprie e ne fa un unico quadro in cui meraviglia e stupore non finiscono mai.
Riprodotta in un poster, questa esplosione di fantasia io l’ho davanti agli occhi da 20 anni, nella mia casa – e ogni volta che la guardo, per qualche minuto sorvolo le Alpi fino al Mare Adriatico, al colle di Santarcangelo.
Anche le cose ci raccontano la loro storia. Nelle case le finestre fanno vedere una miriade di oggetti, fiori, biancheria, piatti, scodelle, bottiglie, e persino il vecchio vaso da notte – sono tutte tracce di vita umana. Se noi spettatori sviluppiamo queste tracce nella nostra mente, alle grandi storie si intrecciano molte altre piccole storie, spesso davvero minuscole.
Gli attori. Pino Boschetti mostra un ampio spettro di modi e comportamenti tipici di una cittadina.
I protagonisti delle sue storie sono al contempo normali e ridicoli per le loro caratteristiche che il pittore osserva, accentua, esalta. L’elemento quotidiano e quello scurrile a prima vista sembrano contraddirsi. E qualcuno protesterà, affermando che la quotidianità non è affatto ridicola. E invece lo è, eccome! Basta guardare! È proprio una buffonata.
Prendiamo per esempio la figura della donna con il cappello di paglia! Quasi timida, ingenua, una contadina del luogo, e al contempo una donna attraente che, senza saperlo, emana un forte richiamo erotico. Lo sguardo felliniano. C’è un modo di guardare le cose che ho imparato da un altro grande figlio della Romagna e che chiamo sguardo felliniano.
Pino Boschetti vive nella terra di Federico Fellini, regista cinematografico di fama mondiale. Il pittore non lo ha studiato in modo particolare. Tuttavia i due hanno qualche cosa in comune: entrambi sono cresciuti nell’atmosfera di questa zona e l’hanno assorbita.
Sono riuscito a far mio il modo felliniano di guardare la realtà guardando per ben sette volte il film che ha realizzato con Tonino Guerra, «Amarcord»: a quel punto era come andare con lui su e giù per il Corso e attraversare in lungo e in largo le piazze. Seguivo con gli occhi la Gradisca con le sue sorelle e i vari tipi – con uno sguardo stupito, ironico, interrogativo e affascinato.
Pino Boschetti mi ha invitato più volte a casa sua: in pieno centro, sulla piazza della Collegiata, in una vecchia casa, con tante scale su, su fin sotto il tetto. Lassù le pareti sono tutte tappezzate con i suoi quadri: sono sorpreso – attorno a me è raccolta tutta la Romagna.
Dopo un paio di quadri ho acquisito uno sguardo nuovo, come mi era capitato con lo sguardo felliniano – chiamiamolo lo sguardo alla Boschetti.
Boschetti – un gemello di Fellini.
Con questo sguardo si può andare in giro a guardare la gente e subito nella testa si scatena un fuoco di artificio. Quando vado a zonzo per le piazze di Santarcangelo nella mia testa scatta qualche cosa e all’improvviso la gente che mi viene incontro garbata ed ignara mi appare tra le sue case esattamente come la dipinge Boschetti.
È uno sguardo grottesco e insieme poetico. Al di là del grottesco è la chiave che svela la poesia del luogo. Santarcangelo potrebbe chiamarsi anche Santarcangelo dei poeti, perché ha ospitato e ospita tanti poeti. Mia moglie che conosce bene queste cose, allude a campi morfici – atmosfere contagiose. E così non ci sono soltanto letterati in questa cittadina, ma anche il pittore-poeta Pino Boschetti.
Il mondo degli esseri umani. Oggigiorno siamo sommersi da una miriade di fatti e di eventi che non ha più una dimensione umana, e che anzi ci assedia da ogni dove con un che di mostruoso. Viviamo in modo perverso: nella grande massa il mondo umano sembra non destare più alcun interesse – corriamo tutti il rischio di essere sovrastati da messaggi che sembrano arrivare da pianeti lontani.
Ma in mezzo a questa nuova fiera delle vanità con tutto il suo fragore trovo il mondo di Pino Boschetti, così profondamente umano. Tiro un respiro di sollievo.
È questo il mondo, penso.
Ma perché adesso il mondo vero è diventato una rarità? Perché il mondo vero nel frattempo è considerato, in molti ambiti, come un oggetto d’antiquariato o un capriccio letterario o l’invenzione di un artista? Come mai la fiera delle vanità nei grandi centri urbani e soprattutto nei mezzi di comunicazione è diventata la norma – mentre il mondo umano del pittore appare come un’eccezione?
Questa domanda è racchiusa anche nei quadri di Pino Boschetti. Che trattano criticamente queste vanità – mi viene in mente una frase ironica di Mefisto nel «Faust» di Goethe: “(Tu sei in fondo quello che sei) …Indossa una parrucca con milioni di riccioli, ….resterai sempre quello che sei” (*)
Pino Boschetti smaschera così la gente piena di sé. Ma si tratta di un modo sorprendente di smascherare che non rende aggressivi questi personaggi, bensì simpatici e che arriva quasi a farceli piacere. Boschetti ce li presenta e se noi li guardiamo sorridendo, scopriamo nel quadro, sotto le vanità, il nucleo essenziale: l’essere umano.
Ecco un pittore simpatico che ci regala immagini di un mondo umano.
Nei suoi quadri ci sono molte case che – da secoli ormai – sono solo di due piani. Dove gli abitanti vivono vicino alla terra, vicino ai ciottoli tondi che vengono dal fiume, e sotto i piedi hanno la montagna che ha la forma di questi sassi. Dalle finestre gli sguardi e le parole arrivano fino alla gente per la strada e sulla piazza. Anche chi sta un po’ più in alto è sempre raggiungibile e vicino. Chi vive così vicino alla terra e agli altri, fa prima a scendere in strada – e così nascono i rapporti di vicinato, la città e la sua cultura.
Le suore con il fruscio dei loro abiti bianchi e azzurri, anche se vecchie, non sono più persone al di sopra del mondo comune, alle quali si deve rispetto, ma sono esseri umani: ragazzine che giocano tra loro.
E quando la suora tiene in braccio un neonato,capiamo che sente di esserne la mamma.
Non è la divisa che fa l’uomo. Ah certo, quante uniformi in questi quadri! Penso a una battuta viennese sugli ufficiali: “Coraggiosi no, ma eleganti di sicuro!” Meglio così! Perché il cosiddetto coraggio si rivela sempre più spesso come crudeltà.
Con che splendida ironia il pittore presenta un trombettiere: con una giacca troppo piccola, la pancia che scoppia dai pantaloni, le scarpe troppo strette con cui non riesce neppure a camminare.
Così com’è, è meglio che rimanga fermo invece di correre gagliardo verso una guerra qualunque, grande o piccola.
Un altro in uniforme da parata batte uno contro l’altro i piatti della sua batteria con un gesto plateale – ma in riva al mare. Davanti all’acqua nessuno sente quel fracasso. Qui non arrivano né amici né nemici.
A nessuno, uomo, donna o bambini che sia, vanno bene i vestiti che indossa. Li hanno ingenuamente arraffati, così come l’era del consumismo li ha loro offerti. I poveri non sanno bene cosa farne, non hanno avuto modo di impararlo. Ma il pittore non li prende in giro, come hanno fatto per un secolo intero i signori eleganti e distinti, al contrario li presenta come sono rimasti, umani nell’intimo, sotto le bardature in maschera.
La magia dell’essenziale. Vedo tre giocatori di bocce che fissano un punto – e tutt’intorno una folla che guarda, mezzo mondo quasi. E ora quel punto diventa magico. Si trasforma in una domanda: Che cos’è? E che cosa succede a questa gente? Perché stanno facendo quello che fanno?
Il pittore ci nega la risposta – siamo noi a doverci sforzare di arrivarci e a dover riflettere. Infatti il quadro non è chiuso e compiuto, ma aperto.
È singolare come il vento sulla strada confonda le persone – come una catastrofe. Perché? Ecco riaffiorare di nuovo la domanda: che cosa è l’essenziale nella nostra vita?
Che cosa significa vedere il sonno di un piccolo commerciante: nella calura del mezzogiorno è sdraiato sui sacchi del suo carretto, nascosto dietro il capello e sotto un grosso ombrello.
L’effetto è grottesco. Ma perché lo è?
Il sublime e l’autentico. La Penisola è sorprendentemente ricca di immagini pittoriche. Molte di queste immagini vogliono essere sublimi ad ogni costo.
Nell’universo dei quadri di Pino Boschetti il velo del sublime è squarciato – e da sotto emerge l’uomo. Che ora ci sta davanti, il più delle volte come il piccolo clown grassoccio del circo – voleva essere diverso, ma non c’è riuscito, è diventato triste, modesto, commovente, umano; con questo destino che è diventato il suo atteggiamento esplicito, grandi e piccini vorrebbero quasi abbracciarlo.
Il conflitto tra sublime e umano non è nuovo per la penisola. Raffaello nelle sue madonne ha ritratto la sua amante, la bella fornarina con cui viveva in un’unione non benedetta dal parroco. Il pittore l’ha innalzata sugli altari. Ce l’ha mostrata perché la vedessimo: una bella donna, una madre, una sorella. Molti pittori hanno fatto come lui. Anche Pino Boschetti ci mostra le sue figure in una doppia luce: quella sublime e quella umana.
Ci propone una variante dell’antico tema che pervade la storia della pittura italiana dai tempi di Cimabue e di Giotto. Pino Boschetti lo tratta in modo diverso dalla tradizione della pittura italiana: come post-surrealista sa irritare. E lo fa con ironia, ma anche con una estrema e stupenda delicatezza. Abbraccia le figure. Esse meritano di essere amate così come sono. In tutto ciò appare evidente un’autenticità, una schiettezza, una grande dimestichezza con la vita semplice.
Il pittore come psicoanalista. Boschetti osserva una gamma di differenti modi di comportamento degli uomini. Possiamo leggere i suoi quadri quasi come un’enciclopedia.
Rivela nelle persone le loro origini psicologiche, le radici e i modelli. E si serve dell’intero spettro di comportamenti umani come un pianista dei tasti del suo strumento.
I conflitti. I romagnoli hanno fama di gente rude. Su questo si può riflettere. Pino Boschetti ci presenta questa immagine: molte persone deboli riescono a tener fermo un uomo forte in modo che non possa fare a botte con un altro.
Non è una cattiva ricetta per rendere civile una società. I signori. Un quadro mostra il fattore in cammino verso il podere. È un individuo come tutti gli altri – ma si gonfia talmente da sovrastare gli alberi in fiore lungo il viale – ostruendo così il passaggio, benché non stia arrivando anima viva. Un tipo così vive di illusioni.
È la sola persona, tra le tante raffigurate, che il pittore presenta con antipatia.
L’anticlericalismo dei romagnoli. Per secoli la Romagna ha vissuto sotto il giogo papalino. Uno dei piatti più buoni in questa terra si chiama strozzapreti: un nome che dice tutto.
L’ultimo dei papi sovrani, Pio IX, ha fatto ancora sibilare la ghigliottina alle porte di Bologna, ma i romagnoli sono brava gente che non ucciderebbe mai un prete – perché il loro scherno rende umano ogni individuo.
E così, cinque suore giocano sfrenatamente a mosca cieca con um monsignore. Un tocco di sfacciataggine femminile contro due millenni di prepotenza clericale e maschile.
L’arma più tagliente è riservata all’anticlericalismo: gioia di vivere anche per le suore e il vescovo in mezzo a delle donne che mettono in musica la vita.
Il pittore ci mostra una suora con un bimbo – ah, quanto lo vorrebbe, lo accetta come suo.
Questo è anticlericalismo romagnolo nella versione più amabile. In questo modo Pino Boschetti non ci fa vedere come sono i preti, ma come siamo “noi”.
Povertà e dignità. Poveri ma orgogliosi, così sono gli uomini di questa terra nei quadri di Boschetti. Non ci sono veri prepotenti, anche se i loro gesti a volte li fanno sembrare tali. In realtà gli uomini di Boschetti sono tutti uguali.
Le donne sono tutte emancipate – sono donne che hanno in mano le redini della casa e si occupano di una famiglia numerosa con la sicurezza di sé che viene dal duro lavoro dei contadini.
Boschetti ama la vita e non è mai un pittore della miseria. Ritrae la povertà, ma una povertà dignitosa. La fiera delle vanità oggetto della sua ironia. Si tratta di una fiera delle vanità nel mondo dei poveracci: si cerca di imitare quello che viene dall’alto e da fuori attraverso la propaganda e una lunga tradizione. I bambini sulla spiaggia giocano come un esercito di mercenari. Ma in Pino Boschetti tutti i grandi gesti finiscono per diventare assurdi.
Il teatro. Che grandiosa messinscena è il quadro che rappresenta una riunione: un’ampia gamma di ruoli, di caratteri e di comportamenti diversi. C’è il presidente monomane, il vice stanco, il segretario zelante, l’ascoltatore annoiato, in seconda fila uno legge il giornale e un altro guarda meditabondo il soffitto della sala. Un altro ancora è già addormentato, mentre davanti a lui un oratore declama gesticolando.
Le piazze. Il centro di Santarcangelo è tutto un susseguirsi di piazze – sia nella parte alta che nella città bassa. Piazze, piazze, piazze: un tema grandioso.
L’urbanista, l’architetto, o il semplice cittadino che voglia imparare qualche cosa al riguardo, può farlo leggendo all’infinito i quadri di Pino Boschetti. La più gran folla di individui si dispiega sulle piazze, con un’opulenza che conosciamo da alcuni film di Fellini. E soprattutto regna una gran confusione, un brulichio di imprevisti e di movimenti in lungo e in largo.
La vita di tutti i giorni è letteralmente declinata, sillaba per sillaba. A questo si aggiunga la tradizione della commedia dell´arte, un genere teatrale che nasce proprio dalla vita quotidiana, di cui è al contempo lo specchio e la classificazione per tipi. Il quotidino vi viene accentuato ed esasperato.
Il teatro in piazza. «Wir alle spielen Theater» (Recitiamo tutti una parte): così lo psicologo Ervin Goffman ha intitolato un suo libro. E in effetti tutti mettiamo in scena il nostro teatrino personale, anche non volendolo o cercando di nasconderlo.
A nord delle Alpi i teatri presentano i migliori spettacoli del mondo, eppure, nella vita di ogni giorno, si è soliti usare il modo di dire “Mach kein Theater” (letteralmente “Non fare teatro”, vale a dire, “Non ne fare un dramma”).
La Romagna invece è nota come una terra nella quale la gente recita la sua parte nella vita come in un teatro e se la gode anche. Quindi aver fatto del “Teatro in piazza” un programma esplicito è un fenomeno perfettamente consono alla città di Santarcangelo. E altrettanto consoni le sono i manifesti che Pino Boschetti ha ideato per alcuni anni in occasione del Festrival del Teatro in piazza – la cittadina non avrebbe potuto trovare di meglio.
La serie di argomenti a catena: la città è un teatro. La piazza è il culmine della città come teatro. Il teatro è lo specchio dell’umanità. Quando si recita in piazza, capiamo ancora meglio. La nostra vita si fa più intensa – e forse riusciamo anche a comprenderne qualche cosa di più.
Nel mondo esistono anche altre piazze: nell’antica Roma i fori venivano chiusi durante la notte, le autorità erano diffidenti nei riguardi della plebe. Nell’era moderna sono stati i militari a disciplinare gli uomini mettendoli in riga. Oggi per lo più sono le automobili a scacciare gli uomini. Ma sulle piazze che il pittore ci presenta la gente cammina come vuole, nel più umano dei modi, è cioè in una gran confusione.
I contenuti e l’estetica. Questi quadri non soltanto ci offrono una gamma di temi stimolanti, ma raggiungono anche un altissimo livello di raffigurazione. Davanti ad un quadro non ci si chiede solo “cosa” rappresenti, ma anche “come” lo rappresenta.
Tutto ciò che è abituale e scontato nelle mani dell’artista diventa estetico. Egli lo fa suo, lo legge, lo elabora intensamente e ne fa un quadro di grande forza.
Che cosa è la pioggia sulla città? Come nasce un quadro dal fenomeno ‘pioggia’ e dal comportamento della gente quando piove? Pino Boschetti ne fa una scena grandiosa: sullo sfondo – come sul palcoscenico – il profilo della città in un’atmosfera tutta sua e in primo piano un gruppo di donne agitate e di grandi ombrelli neri.
L’essenziale. La quotidianità ci circonda. La guardiamo perciò con uno sguardo ordinario: superficiale, impreciso, smemorato.
E invece la vita quotidiana ha un significato – basta penetrarla, scavando più a fondo e con più insistenza. Sotto la superficie si diventa esploratori e si comprende che non è necessario andare in America o in Cina per scoprire il mondo.
Tutto quello che generalmente passa inosservato nella vita di ogni giorno si rivela nei quadri di Pino Boschetti come in una serie di scene che sfilano davanti ai nostri occhi.
È proprio dell’arte non limitarsi a riprodurre semplicemente degli eventi, ma penetrare dentro ai fenomeni. Gli artisti osservano con maggior attenzione di quanto non si faccia nella vita di ogni giorno, in cui la gente se mai volge lo sguardo altrove invece di riflettere a fondo.
L’arte, le arti, sono illuminanti. Spesso a uno sguardo superficiale questo sembra esagerato, e parecchi reagiscono ridendoci sopra o respingendo il messaggio. Ovviamente è molto raro che per strada ci siano tanti ubriachi quanti ne raffigura il pittore. Ma guardando bene, nei vari individui egli ci mostra i diversi comportamenti prodotti dall’effetto del vino: uno crolla dalla stanchezza, l’altro danza con la bottiglia e con il lampione, un terzo si sente profeta e ruba sentenze alla luna, un quarto sogna sprofondato in se stesso, il quinto è già in preda al mal di testa tipico della sbronza. Ai margini si riconosce il beneficiario – l’oste: tronfio per il buon affare fatto.
Le atmosfere. Pino Boschetti è il maestro delle atmosfere. Da un quadro all’altro ci offre una gamma di atmosfere sempre diverse.
La strada notturna con gli ubriachi oscilla continuamente tra un sito del tutto innocente e un ambiente a luci rosse. Le luci della strada hanno ognuna un’espressione diversa.
È straordinario come il maestro sappia carpire le difficili atmosfere delle solite giornate di sole mediterraneo! Sono da godere una per una in ogni quadro.
La semantica. Pino Boschetti prende alla lettera molte cose. La musica da camera si suona in camera – con tre individui seduti sul grande letto con i loro strumenti rumorosi.
È dovuto a questo gusto per la semantica il fatto che nei quadri ogni particolare sia perfetto, fino al bottone dei pantaloni. In un epoca in cui le concordanze sono piuttosto rare, questa precisione colpisce.
I mezzi pittorici. Quando il pittore vuole farci sorridere e riflettere insieme, comincia in modo molto semplice. Sempre efficace, però: rimpicciolisce, dipinge le figure più grassocce, qualche volta quasi tondi, con teste enormi, accentuando la gestualità – poi arrivano colori e luci, i veri artefici degli stati d’animo.
Molti quadri sono pieni del tono cangiante di un giallo ocra. In cui le vesti delle suore diventano quasi rosa. I loro grembiuli sono bluastri. E nei visi si infila di nuovo un giallo ocra – ma un po’ smorto.
È questo tono cangiante che fa apparire la scena al tempo stesso reale e irreale. Vien quasi da esclamare: È proprio vero? Non può essere! Invece è vero!
I colori possono anche invertirsi: allora l’azzurro biancastro riempie il quadro e il giallo ocra diventa un oggetto, magari un grande sofà rigonfio. Sprofondato nel sofà appare in un’uniforme da parata il bianco splendente di un violinista.
Il visibile diventa udibile. Sento il suonatore che suona per strada al lume di candela. È l’enorme capacità del pittore che con l’immagine riesce anche a farci sentire il suono della musica.
La Romagna è una terra musicale. In molti quadri la gente ascolta i suonatori – e lo fanno anche cani e gatti.
In cucina il padre suona trasognato il suo violino per la madre stupita e ammirata.
Vediamo una banda che suona. La dirige un vecchio maestro. A questo punto non può essere lontano il nostro amico Giuseppe Verdi – il musicista che ha cominciato la sua carriera in una banda della pianura padana e che ne rievoca spesso il suono nella sua musica.
L’erotismo. L’Italia per me è la patria dell’erotismo. Qui l’erotismo è amore per tutto il mondo. Un concetto un po’ idealistico? Forse.
Ma è un concetto presente nei quadri di Pino Boschetti. Più evidente che mai nelle molte scene di suonatori sotto la finestra di una donna. L’erotismo qui non ha età – donne giovani e meno giovani, uomini giovani e vecchi.
Nei quadri di Pino Boschetti l’erotismo può anche essere pubblico: un erotismo di piazza. Ci sono tutti.
Tutti possono partecipare e sognare.
Il sogno. Scopro un sorprendente senso poetico dove non l’avrei mai sospettato: un corridore ciclista si ferma – per una farfalla. Vorrebbe prenderla al volo, ma non per ucciderla, bensì come per cogliere un sogno dal cielo.
Nei quadri ci sono molti sogni. Spesso sono grotteschi – come quelli di un clown nel circo. Il pittore mostra: gente semplice, che voleva arrivare in alto, ma non è andata molto lontano e ora è un po’ malinconica. Non ce l’hanno fatta, e tuttavia di questo vivono, del fatto di aver provato, e soprattutto di essere rimasti esseri umani, anche dopo. Noi spettatori li consoliamo con la nostra benevola attenzione.
L’uomo è un essere sfaccettato e cangiante. Pino Boschetti non ci mostra uomini cattivi – nessuno è veramente cattivo, neppure il fattore.
Il pittore non si lascia mai sedurre dal nostro tempo a vedere il mondo come un abisso. Non lo vuole mai scomporre per punirlo, almeno nei quadri, né vuole che lo osserviamo con ribrezzo ed orrore. Non ci presenta mai il nulla.
Anche della figura più truce riesce a farci sorridere: Qui c’è qualcuno che si dà delle arie, ma in fondo non è altro che un uomo. Decorazioni e onorificenze diventano giocattoli. E il violino tra le mani è l’opposto della sciabola e del fucile. Il violino non è uno strumento adatto ad una musica marziale. Nell’immagine dipinta ha un suono toccante.
Anche l’immagine della partita di pallone è ambigua. Parodia delle suore, che giocano a pallone nel giardino davanti alla chiesa? Oppure è una parodia del calcio – con delle suore?
Sociologia della piccola città. Nei suoi quadri Pino Boschetti ci spiega la sociologia della cittadina romagnola. E lo fa con maggior competenza di un sociologo. Infatti la scienza tende a ridurre, a ricondurre la molteplicità a pochi concetti. Il letterato e un pittore come Pino Boschetti cercano di fare il contrario, dispiegando i fenomeni in tutta la loro varietà.
L’arte del pittore consiste anche nel fatto di mostrare ciò che con le parole si può descrivere soltanto per accenni e per allusioni.
Gli scienziati finora non sono ancora riusciti a leggere davvero le testimonianze visive. Soltanto raramente ci provano e se non ci riescono diventano arroganti. O ignoranti. Ma in questo modo si danno solo la zappa sui piedi.
Tempi moderni? Nell’era industriale forse gli Italiani sono il popolo che ama nel modo più maniacale i tipici simboli della modernità, la motocicletta e l’automobile.
Eppure una caratteristica percorre i decenni come un filo rosso: nonostante la modernizzazione nessun popolo europeo è rimasto uguale a se stesso come gli Italiani. E questa contraddizione è più che mai evidente in Romagna.
La coppia non più giovane sulla moto con sidecar mostra esemplarmente questo caratteristico divario. Da consigliare a tutti i popoli!
Il nonno in sidecar! E con la massima naturalezza. La donna con i capelli al vento abbracciata stretta al suo uomo robusto, come la ragazza innamorata di un tempo. Sogna a occhi chiusi quell’ «Allora», che ancora una volta è diventato «Adesso».
La gioia di vivere. Alla finfine in tutti questi quadri tutto si riconduce a un concetto semplicissimo: alla gioia di vivere.
Gioia di vivere – sulla spiaggia due donne corrono con i vestiti al vento a seno nudo.
Un pittore da leggenda. Non vende le sue opere. I quadri sono i suoi figli. Non li dà via.
Oggi la società ha un’altra idea dell’artista. Ma questo pittore sembra in contrasto con tutto ciò che il mercato dell’arte e le riviste d’arte ci suggeriscono. E anche in contrasto con la storia dell’arte.
Non ha mai frequentato l’accademia. Non vive della sua arte. Non vuole trarne né il companatico né qualche spicciolo in più. Tutto questo non gli interessa.
Era segretario comunale della piccola cittadina romagnola di Santarcangelo – e per vivere gli bastava. Non voleva diventare ricco. E neppure famoso.
Parlandogli si avverte la sua modestia. È uno dei tipi che ritrae nei suoi quadri – anche senza onorificenze in vista.
Un mondo già scomparso? Non so quanto tempo avesse Pino Boschetti per guardare la piazza principale dal suo ufficio nell’accogliente municipio: lì per secoli ogni mattina i contadini dei dintorni portavano i loro prodotti al mercato. Infatti Santarcangelo era il centro del mondo agricolo-pastorale tra Rimini e Cesena. Si trova al confine tra l’ampia pianura costiera e la zona montuosa che poi sale verso l’alto Appennino.
Ora, qualcuno osserverà che questo mondo è scomparso. E io gli suggerisco di porsi due domande: Quest’arte può essere un invito a riflettere?
E quel mondo può tornare a vivere – in un modo o nell’altro?
Nei quadri di Boschetti non vive soltanto il vecchio mondo. Ciò che accade nel quadro mostra un mondo in continua trasformazione. Ancora oggi siamo in una fase di trasformazione. Tutta l’era industriale è una fase di passaggio, un mutamento continuo.
Ma il vecchio Adamo è rimasto lo stesso. Boschetti lo osserva e lo ritrae.
Guardate ben bene la sua gente: come si muove, come le vecchie uniformi e medaglie sono sostituite da altre che esprimono la stessa cosa con simboli nuovi – e scoprite l’essere umano dentro e dietro di esse. In questo senso tutto continua a funzionare esattamente come nel vecchio mondo.
Il paese natale. Le figure di Pino Boschetti sono rimaste tutte a casa loro, come lui stesso, del resto. È un pittore che viaggia pochissimo. Le sue figure sono sì spesso in movimento, anche frenetico, ma girano sempre soltanto attorno alla collina o alla piazza.
L’orgoglio della città. Una città può essere fiera e felice di essere ritratta da un pittore del talento di Pino Boschetti, un uomo che sa veramente come si fa un quadro, perché coglie l’essenza profonda di questa città.
E alla città mi rivolgo: avete un tesoro – tenetevelo caro! Nel 20° secolo avete avuto un unico maestro di questo genere: Pino Boschetti.
E la stessa cosa vale per la regione. Non potrebbe essere raffigurata in modo più caratteristico che nei suoi quadri.
La città dovrebbe dedicare a questo pittore grande ed unico nel suo genere una mostra permanente – o per lo meno un’ampia sezione in un museo. Che cosa poteva capitare di meglio alla città: il maestro ha conservato tutti suoi quadri, senza venderli. Essi costituiscono tutto il suo universo, per il momento nella sua casa, in alto sotto i tetti e un giorno, speriamolo, in un luogo in cui essi possano far parte della cultura pubblica della città.
Note in margine alla storia dell’arte. Esiste una storia dell’arte cieca che, per comodità e per pigrizia mentale, ha rigidamente limitato la cerchia di quelli che accoglie,– come un club aristocratico. Con questa mentalità così limitata trascura molte realtà, troppe.
Anch’io esercito questo mestiere, ma fa parte della mia dignità l’essermi sempre ribellato a questo modo di pensare. Questa storia dell’arte cieca ha escluso molti artisti e li ha chiusi in un cassetto con il marchio approssimativo e diffamatorio di «naïf».
Voglio sottrarre Pino Boschetti al giudizio errato degli storici dell’arte: la professionalità di questo pittore è indiscutibile. I suoi soggetti, le sue idee, la sua capacità di raffigurare e di esprimersi con il linguaggio visivo lo rendono degno di un posto nella serie A del suo tempo.
Ma il sistema degli scambi commerciali e degli arbitri non funziona così e non è poi tanto diverso da ciò che da poco conosciamo dal mondo del calcio. Pino Boschetti non ha nulla a che fare con questo ingranaggio, azionato dal commercio degli oggetti d’arte in base al principio supremo del guadagno – e questo lo rende oltremodo simpatico.
Lo chiamano il Brueghel della Romagna. È vero: come pittore è stato certamente un suo antenato – in una terra assai distante. Il Brueghel delle Fiandre. Questo Brueghel gli piace e lo conosce molto bene. Nel quadro della riunione è appesa un’opera del fiammingo.
Confronti. Se cerchiamo dei termini di paragone nella letteratura ci imbattiamo nel mondo di «Tartarino da Tarascona» e della sua piccola città in Provenza, descritto dallo scrittore Alphonse Daudet.
Nelle arti figurative, i quadri di Pino Boschetti si possono accostare a quelli del pittore tedesco Carl Spitzweg e a quelli di Walter Kurowski, che raffigura una realtà simile in un modo un po’ diverso.
Ciò che ci interessa in loro e nel romagnolo Pino Boschetti è sempre la mutevolezza degli uomini. Il piccolo borghese si trasforma in un eroe – ma tra posa e pompa magna non si può non vedere che in fondo è un uomo.
Pino Boschetti potrebbe essere anche paragonato a registi e sceneggiatori del cinema, come Alberto Lattuada e Cesare Zavattini. Il mondo dei suoi quadri è un cosmo della vita. Analogamente, il film di Fellini Prova d’Orchestra è un cosmo della società.
Il rispetto per l’uomo. Una particolarità: questi quadri non sono mai caricature. Boschetti è ben lontano dal divertimento spicciolo, dal prendere in giro gli esseri umani che raffigura, come si fa comunemente da secoli. Ha resistito alla tentazione di facilitarsi le cose, facendo della sua gente una massa di buffoni.
In Boschetti si vede qualche cosa di Zavattini, il grande autore di sceneggiature cinematografiche, e di Tonino Guerra, il poeta ed erede di Zavattini: a dispetto dei molti elementi grotteschi, questi autori hanno sempre dimostrato un grande rispetto per l’uomo.
La vita è buffa – ma è la vita ed ha dignità proprio in quanto tale.
Naturalmente questa gente è ricoperta di attributi, capi di abbigliamento, giacche, berretti, cappelli, che in un paesaggio un tempo povero dovevano dare loro qualche cosa di più della loro miseria. Ma la famiglia numerosa che Pino Boschetti dipinge è profondamente umana: i suoi membri si scambiano sguardi carichi di amore, la madre scopre il seno generoso per allattare il più piccolo, mentre un bimbo più grandicello la sta a guardare e un altro la bacia.
L’umanità è sempre stata attuale, in ogni tempo. E oggi più che mai.
Pino Boschetti è uno dei grandi pittori dell’umanità.


(*) Nota del traduttore: dalla traduzione italiana di Andrea Casalegno
Traduzione di Cora Annoni, con revisione di Benedetta Campana Heinemann.