Appunti su Giuseppe Boschetti ed il naifismo

Orlando Piraccini

Nato a Santarcangelo di Romagna nel 1944, Giuseppe (Pino) Boschetti inizia a dipingere verso la metà degli anni settanta. Le prime sono prove d’istinto, semplici effetti d’una stimolazione creativa essenzialmente esercitata nel fervido clima figurativo del paese animato da Federico Moroni e da diversi discreti pittori santarcangiolesi. Prove, se si vuole, di una fede incondizionatamente riposta nella pittura di realtà, e però anche – cosa questa assai più rilevante – di un lavoro in corso da parte del pittore, come dire, di messa a fuoco e di messa a punto di certi suoi segreti, a tutti sconosciuti, strumenti di precisione inventati e costruiti apposta per l’osservazione e la registrazione dell’esistente, ma atti anche ad una commutazione nella sfera dell’invisibile degli accertamenti a volta a volta effettuati.
Non sorprende dunque se in quest’impresa, avventurosamente ingenua e sincera, l’inventiva di Giuseppe Boschetti ha finito ben presto per risolversi in immagini dalla connotazione squisitamente candida; al punto che nel 1980, in occasione della quattordicesima edizione del rinomatissimo “Premio Nazionale delle Arti Naïves”, il pittore viene iscritto con merito nella grande famiglia degli artisti naïfs ottenendo dal paese di Cesare Zavattini non solo un’intera “parete” nella quale esporre le proprie opere (cosa questa a pochi “degni” concessa), ma anche l’inserimento di un suo dipinto (Il gelataio, del 1977) nella raccolta permanente del museo nazionale oggi intitolato al grande regista. Tre anni più tardi, poi, Boschetti sarà da Luzzara definitivamente consacrato “pittore naïf” con la vincita, per votazione popolare, dell’ambita medaglia d’oro messa in palio dalla presidenza della repubblica. 1
Risalgono a questo stesso periodo tre grandi scene (Teatro in piazza, 1978; Fiera di San Martino, 1979; Sera d’estate, 1982) destinate ad essere pubblicate come manifesti delle più importanti manifestazioni paesane e quindi divenute giustamente note al grande pubblico. 2
E’ in queste opere che si precisano i contorni del realismo magico ed incantato del pittore di Santarcangelo, pienamente espresso dal “tondo” intitolato L’attesa presentato con successo nel 1983 alla tredicesima edizione del “Premio Internazionale Varenna ‘Giannino Grassi’ per pittori Naïfs”.

Autodidatta, già occupato nel pubblico impiego, Giuseppe Boschetti è pittore per vocazione naturale e travolgente passione; per sensibilità, per atteggiamento, per cultura autenticamente naïf se pure tale definizione (naïf, appunto) ha ancora oggi un suo senso, aperta anch’essa, in ogni caso, a tutti gli interrogativi che stanno investendo i linguaggi espressivi del nostro tempo.
Di certo, si possono riconoscere alla pittura di Boschetti quel carattere di semplicità e di pulizia, di candore e di sincerità che appartiene alla grande tradizione naïve e che qui si dichiara sostanzialmente attraverso il gusto primitivo del racconto.
Struttura “finita” e saldezza compositiva dell’immagine, vivacità non naturalistica del colore, intenso e luminoso al tempo stesso, stesura pittorica larga e solida: sono queste alcune delle prerogative di stile con le quali il pittore afferma la propria straordinaria vena narrativa.
“La loro memoria è di ferro e ricorda il numero preciso di foglie che ci sono su di un albero” era solito ripetere Cesare Zavattini a proposito dei suoi amati pittori naïfs.
Dalla memoria attinge direttamente anche l’inventiva del pittore santarcangiolese. Ed è quella di Giuseppe Boschetti memoria tanto tenace e resistente da consentirgli ogni volta di trasferire nel suo quadro dalla dimensione del “c’era una volta” (la vita paesana, la vita contadina, la vita domestica, le botteghe, i giochi, il circo, i musicisti, i personaggi caratteristici) non semplicemente la parvenza d’un ricordo, ma un accumulo incredibile di elementi reali, anche quelli più minuti e trascurabili.
In questa pittorica connessione tra passato e presente non c’è certamente parvenza di rimpianto o velo di nostalgia. Si potrebbe parlare, anzi, d’una finzione resa con calda bonomia, con sottile arguzia e perfino con qualche punta d’umorismo.
Così, come per magia, da quasi trent’anni nel “teatrino” di Boschetti si replica l’incanto della pittura. Partendo da Il gelataio – il grande quadro del ’77 che apre di fatto l’odierna mostra e che tanto piacque a Zavattini e alla gente di Luzzara (si vede il tipico carriolo in uno slargo di paese con le vie ricamate dai bianchi sassi di fiume e le case colorate e i panni stesi alle finestre, bimbi che giocano e comari che chiacchierano) per chiudere con il recentissimo Suonatori di campane (nella penombra al pianoterra del campanile, i muri scalcinati, la scala che porta alle campane, tutt’intorno arredi dismessi della chiesa e della canonica), tutta quanta la sua opera pittorica può essere traguardata come espressione di una provincia italiana nella quale, come ci insegna Vanni Marchetti, “si nascondono casa per casa piccole storie di persone, di gente comune che a volte è riuscita, magicamente a raffigurare l’invisibile, giungendo fino a noi come un canto”. 3
Di certo, nel caso di Boschetti, si direbbe un fatto normale transitare dalla sfera del reale a quella dell’immaginazione, ed è qui che si misura specialmente il grado d’identità fra stile della vita e stile dell’arte non come semplice certificato d’autenticità rispetto al tradizionale formulario naïve, ma per il preminente significato comunicativo che assume ed esprime il racconto figurato dal pittore.
E’ stato detto a questo proposito, del forte attaccamento del pittore al suo paese ed alla sua terra. Ed è dunque un fatto anch’esso “normale” che nei suoi quadri avvenga – come ho già avuto modo di rilevare – una sorta di fusione di passato e presente, di usi d’un tempo e costumi d’oggi, di credenze di ieri e mode dell’attualità. Così può accadere che tra finzioni di ciò che è stato e simulazioni dell’esistente si aprano davanti ai nostri occhi scorci di paesaggio d’un mondo “altro” rispetto al nostro, dove tutto – personaggi e interpreti, spazio e tempo, luce e colore – è armonia, accordo, innocenza. E appunto, incanto.

Qualcuno forse, discordando con la mia inclinazione (partigiana?) a considerare la pittura di Boschetti così strettamente legata alla sfera della creatività naïve, farà presente anche un supposto rischio derivato da un’etichetta (per di più quella di “naïf”) limitativa ed ingombrante al tempo stesso; tanto più – verrà detto ancora – in un contesto come quello della più stretta attualità artistica contrassegnata da una tendenza al superamento dei tradizionali generi e da un processo di contaminazione dei linguaggi e degli stili.
E’ appunto questo il problema – e vorrei così concludere questa “premessa” al nostro pittore -: che se con la fine della ghettizzazione e della separazione dell’arte naïve dalle altre culture figurative (ricordiamoci ancora una volta della straordinaria battaglia condotta da Cesare Zavattini) prevenzioni e pregiudizi non sono davvero più ammessi, va anche riconosciuto ed apprezzato oggi uno sgorgare zampillante di valori (come la capacità di costruire immagini dell’invisibile, che di Boschetti è anche una preorogativa) e di effetti (l’incanto del colore, lo stesso che rende attraenti, irresistibili le opere del pittore santarcangiolese) da varie sorgenti dell’odierna cultura artistica. Come ha scritto di recente Marzio Dall’Acqua, “in un certo senso trasversalmente il naïfismo, insieme ad altre forme estetiche come l’arte brut, le arti primitive, le arti popolari, in una commistione linguistica libera, non gravata da tributi da pagare alla tradizione, ha modificato, rinnovandola, l’arte moderna ed il linguaggio estetico, le potenzialità creative e le classi di provenienza degli operatori, nel momento in cui l’arte diventava davvero globale, mondiale”.

1
Notizie riguardanti la partecipazione di Giuseppe Boschetti alle iniziative concorsuali luzzaresi sono contenute in Arti Naïves.
Collezione del Museo Nazionale delle Arti Naïves “Cesare Zavattini” 1967-1997, a cura di Marzio Dall’Acqua, Modena, 1997. Dallo
stesso volume sono tratti i brani di Cesare Zavattini e di Marzio Dall’Acqua riportati nel testo.

2
Opere di Boschetti risultano anche utilizzate per l’illustrazione di diverse edizioni di narrativa e storia locale. Tra le altre si ricordano:
La stalla (1982), in G. Valeriani, Le altalene nella valle, La Stamperia, Rimini, 1983 (copertina); Pioggia (1988), in Favole di
Rimini e Circondario, a cura di G. Valeriani, La Stamperia, Rimini, 1995.

3
Vanni Marchetti, Naïf?, in I colori dell’incanto. Romagna: un percorso con l’Arte Naïve, a cura di Paolo Trioschi, Orlando Piraccini,
Il Granaio, Fusignano, 2003.